L'Italia dei miracoli by Marino Niola

L'Italia dei miracoli by Marino Niola

autore:Marino Niola [Niola, Marino]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Raffaello Cortina Editore
pubblicato: 2024-04-17T22:00:00+00:00


La lingua del santo

“Si quaeris miracula, mors, calamitas, daemon, fugiunt…” La voce del frate risuona come un mantra sotto le altissime ogive della basilica di sant’Antonio. “Se chiedi i miracoli, la morte, l’errore, le disgrazie, il demonio e la malattia vengono messi in fuga; gli ammalati guariscono, il mare si calma, le manette si sbloccano. Giovani e vecchi pregano e ritrovano nuovamente le membra e tutto ciò che hanno perduto. I pericoli svaniscono, la miseria è scongiurata. Lo dicano i Padovani.” È un’invocazione solenne al santo di Padova, quasi uno spot, che la gente chiama semplicemente “sequero”, corruzione della formula latina si quaeris miracula, cioè “se chiedi i miracoli”. In effetti da secoli chi ha bisogno di un miracolo si rivolge a lui, il giovane francescano con la faccia imberbe da seminarista e il giglio tra le mani. Passato alla storia come il taumaturgo per eccellenza, il più miracoloso degli uomini di Dio.

Nato a Lisbona nel 1195, vive solo trentasei anni, ma il suo curriculum è così imponente che papa Gregorio ix, a un solo anno dalla morte, lo eleva alla gloria degli altari. Un’aureola guadagnata sul campo a forza di guarigioni, conversioni, resurrezioni e mille altre performance soprannaturali. Alcune tipicamente francescane, come la celebre predica ai pesci. Luogo del fatto è una Rimini eretica, che boicotta il suo apostolato e gli fa trovare le chiese deserte. Al che il santo non fa una piega e passa al piano B. Raggiunge il mare e chiama a sé dentici, branzini e rane pescatrici che affiorano a migliaia, ordinati secondo la specie e la grandezza come su una tribuna numerata, per ascoltare le sue parole ispirate. Ma non mancano prodezze più originali, come la conversione al Vangelo di una mula affamata che, tra lo stupore degli astanti, abbandona la greppia e si inginocchia davanti all’immagine del santissimo.

Il bello è che, dopo la sua dipartita dal mondo, la produzione miracolistica antoniana non ha mai conosciuto flessioni. Perché, morto il santo, restano le sue reliquie, che continuano a funzionare alla grande. Prima fra tutte la celebre lingua, che qualcosa di straordinario deve pur averlo, visto che nel 1263, a trentadue anni dalla sepoltura, viene trovata rosea e fresca come se Antonio avesse appena smesso di predicare. Rubiconda et pulchra, “vermiglia e bella”, la definisce san Bonaventura da Bagnoregio, il Doctor Seraphicus della scolastica medievale, veneratissimo maître à penser della Sorbona e, a quel tempo, generale dei francescani.

Adesso la lingua non ha più quell’aspetto sexy, perché durante l’ultima guerra ha subito svariate vicissitudini e ormai i suoi anni li dimostra tutti. Ciò nonostante vengono pellegrini da tutti i continenti per vedere con i propri occhi questa reliquia che nel suo genere è unica al mondo. I fedeli hanno da sempre attribuito questa inspiegabile incorruttibilità al fatto che il Signore ha voluto passare un colpo di evidenziatore sulle parole prodigiose che la lingua di quel fraticello aveva saputo pronunciare. Il suo valore simbolico, accresciuto nel tempo da uno score miracolistico assolutamente strepitoso, attrae perfino un personaggio



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